Intervista a José Luis Alonso
Marchante, scrittore, “La causa dei popoli”, nº. 3, aprile 2017, traduzione
Alessandro Michelucci
Pochi popoli indigeni sono stati dimenticati (o per meglio
dire, ignorati) come quelli della Terra del Fuoco, che furono massacrati dai
coloni cileni e argentini fra la fine dell'Ottocento e i primi decenni del
secolo successivo.
Sono stati quasi completamente cancellati da un genocidio che
molto raramente è stato oggetto di discussione: perfino in Cile e in Argentina
se ne è parlato pochissimo, sebbene alcuni l'avessero denunciato e documentato.
Negli ultimi anni, però, la loro tragedia dimenticata ha guadagnato un certo
spazio nel dibattito politico cileno. Ma questo, nel migliore dei casi,
produrrebbe un riconoscimento limitato ai due paesi sudamericani coinvolti
nella questione. La possibilità che questo genocidio venga riconosciuto a
livello internazionale rimane quanto mai remota. Fra coloro che si stanno
impegnando per raggiungere questo obiettivo spicca José Luis Alonso Marchante,
che ha scritto il libro fondamentale sul tema (“Menéndez, rey de la Patagonia”,
Catalonia, 2014). L'opera ricostruisce la vita di José Menéndez, immigrato
spagnolo, che insieme ad altri coloni si impadronì in modo fraudolento di vasti
territori situati nella Patagonia cilena e argentina. Inoltre sottolinea il ruolo centrale che
Menéndez svolse nello sterminio dei popoli fuegini.
Mujer Selk'nam, fotografia coloreada por Carlos Alberto Villarroel Barria (Gusinde, 1922) |
Alonso Marchante, spagnolo di Gijón, è uno dei promotori
dell'appello che chiede al governo cileno di riconoscere il genocidio dei
Selk’nam. La questione viene attualmente dibattuta dal Parlamento cileno, in
seguito a un progetto di legge che chiede il riconoscimento del genocidio
allargandolo a tutti i popoli fuegini: Aóni-kenk, Selk'nam, Kawésqar e Yagán.
L’intervista che segue, tratta dalla rivista cilena Punto Final (811, 22 agosto
2014), è stata realizzata dallo scrittore Alejandro Lavquén. Lo ringraziamo per
averci permesso di riprodurla.
Come
nasce il tuo interesse per la storia della Patagonia?
Sono sempre stato interessato ai temi legati
all'immigrazione. Io sono originario delle Asturie, mia moglie è argentina. La
prima volta che sono andato a Buenos Aires ho visitato il Centro Asturiano,
dove si trova un busto di José Menéndez con una targa che lo definisce
"pioniere del progresso economico della Patagonia". Questo
personaggio mi interessava moltissimo. Mi chiedevo come fosse possibile che un
contadino asturiano senza arte né parte potesse essere diventato un uomo così
potente. Così ho cominciato a fare ricerche sulla sua vita.
Che
idea avevi della Patagonia?
Per noi europei la Patagonia è un luogo leggendario
con un paesaggio affascinante situato alla fine del mondo. Un luogo mitico,
direi. Io pensavo agli esploratori, per esempio a Magellano, che percorrendo
per la prima volta lo stretto che oggi porta il suo nome aveva visto i fuochi
coi quali i Selk'nam comunicavano fra loro. Questa l'idea che avevo della
Patagonia.
Grupo Selk'nam en las cercanías del lago Kakenchow (Lucas Bridges, 1912) |
Il genocidio degli indigeni era conosciuto in Europa?
Tutti sanno che i popoli
indigeni delle Americhe sono stati vittime della colonizzazione fin
dall'inizio. Ma quello che mi
ha colpito è che in Patagonia lo sterminio era avvenuto in tempi molto recenti.
Non parliamo del 1500 o del 1600, ma di un periodo che va dalla fine del
diciannovesimo secolo all'inizio del ventesimo. In termini storici è come dire
ieri. È stata un brutta sorpresa, soprattutto dopo che avevo cominciato a studiare
la vita di Menéndez e la sua partecipazione al massacro dei popoli indigeni.
Il
tuo libro contiene testimonianze o documenti inediti?
Certamente. Per me era molto importante raccogliere
le testimonianze dei contemporanei. Per quanto riguarda lo sterminio dei
Selk'nam, per esempio, ho riportato le testimonianze dei salesiani, che avevano
una missione situata vicino alle fattorie di José Menéndez. Quando uscivano
trovavano spesso dei cadaveri di selk'nam che erano stati uccisi col fucile. Si
tratta di testimonianze autorevoli. Per quanto riguarda le condizioni degli
uomini che lavoravano nelle fattorie – un altro tema che mi interessa molto –
ho utilizzato le testimonianze dei militari e della polizia. Questi non avevano
nessuna simpatia per loro, ma restavano a bocca aperta quando vedevano in quali
condizioni dovevano lavorare.
Hai potuto parlare con i discendenti di
Menéndez o di altri allevatori?
Sono entrato in contatto con i suoi eredi che
vivono in Spagna. Mi hanno fornito delle testimonianze molto preziose. Nella
fattoria che José Menéndez aveva nella Terra del Fuoco, Primera Argentina,
c'era un capetto scozzese che si chiamava Alexander Mac Lennan, detto
"Chanco Colorado". Fra la gente di Punta Arenas era tristemente noto
come cacciatore di indigeni, cosa di cui si vantava. Sono riuscito a parlare
con un suo pronipote. Mi ha lasciato di sasso quando mi ha detto che oggi,
grazie a quello che avevano fatto Menendez e gli altri latifondisti, nella
Terra del Fuoco non ci sono rivendicazioni indigene come in altre regioni del
Cile o dell'Argentina. Parole ripugnanti.
José Menéndez (1846-1918), el "rey de la Patagonia" (Museo Regional Magallanes) |
Quindi nessuno dei discendenti cerca di
ristabilire la verità storica?
Purtroppo no. Qualche anno fa Osvaldo Bayer, il
celebre storico argentino, ha incontrato Federico Braun, il proprietario de La
Anónima, la compagnia fondata da José Menéndez e Mauricio Braun. Quando Bayer
gli ha detto che avrebbe potuto almeno rivolgere delle scuse per lo ster-minio,
gli ha risposto che lui era nato negli anni Quaranta e che non aveva niente a
che fare con quella storia. Un comportamento ben diverso da quello di ditte
tedesche come Mercedes o Bayer, che impiegarono degli schiavi, ma oggi
finanziano musei e fondazioni per far conoscere quelle pagine tragiche della
propria storia. Esiste una responsabilità, una memoria storica da recuperare.
Per quanto riguarda i salesiani, sembra che
abbiano avuto un ruolo piuttosto controverso. Quali furono loro rapporti con
gli indigeni?
I salesiani gestivano una segheria sull'isola
Dawson ed esportavano il legno nelle Malvine. Per questa attività si servivano
degli indigeni. I primi salesiani impiantarono delle missioni nella Terra del
Fuoco e mantennero un atteggiamento molto critico nei confronti dei
latifondisti. Volevano davvero proteggerli e al tempo stesso evangelizzarli,
perché credevano che questo fosse un modo per aiutarli. Ma poi la situazione
mutò radicalmente: i missionari si arresero al potere economico degli
allevatori, tanto che la seconda generazione di salesiani fu completamente
sottomessa alla loro volontà. Fu allora che si cominciò a scrivere una storia
dove gli allevatori venivano dipinti come alfieri del progresso. I salesiani
hanno dato un contributo decisivo a questa falsificazione storica.
Mujeres y niñas selk'nam deportadas en la misión salesiana de isla Dawson, Chile (Bocco de Petris, 1898) |
Secondo le tue
ricerche, quanta colpa può essere addebitata ai governi dell'epoca?
Molta, senza dubbio. Le leggi
cilene e argentine per la colonizzazione, che ho studiato a fondo, fissavano un
limite di 30.000 ettari per le terre da affittare ai coloni, perché si voleva
che le fattorie per l'allevamento del bestiame impiantate dagli immigrati
europei fossero piuttosto piccole, come in Australia. Ma Menéndez, Braun e gli altri corruppero il
governo argentino e quello cileno in modo da poter ottenere terre più grandi,
che ovviamente appartenevano ai loro abitanti originari. José Menéndez era un
uomo potente che si muoveva con estrema disinvoltura negli ambienti politici di
Santiago e Buenos Aires, arrivando a tenere a libro paga i governatori della
Patagonia. In Cile Mariano Guerrero Bascuñan, che quando lasciò la vita
politica si stabilì a Santiago per lavorare con gli allevatori. In Argentina
Carlos Moyano, governatore di Santa Cruz, che fece lo stesso. Erano
procacciatori di terre. I governi dell'epoca hanno responsabilità ben precise,
perché permisero ogni tipo di abuso.
Quindi i governi erano a conoscenza di
questi crimini?
I governatori che arrivavano a Punta Arenas erano
in buona fede. Si trovavano davanti due tipi di ingiustizie: l'accaparramento
di terre e lo sterminio degli indigeni. Dopo le prime proteste, però, si
schieravano dalla parte dei latifondisti, grazie al potere politico ed
economico di Menéndez. Quando vedevano i soldi cambiavano subito idea.
Niños yámanas, Expedición científica francesa al Cabo de Hornos, 1882 |
Se ho capito bene fu praticata anche la
schiavitù…
Sì, gli indigeni venivano catturati e venduti
all'asta nel centro di Punta Arenas, proprio come in un mercato de schiavi.
Questo accadeva nel 1895, quando in Cile la schiavitù era già stata abolita da
molto tempo. Una pagina vergognosa per questa città. La cosa fu denunciata
anche all'epoca: quello che racconto nel libro deriva da testimonianze
contemporanee. Infatti la questione finì in tribunale, ma poi, grazie al potere
politico dei latifondisti, fu archiviata.
E gli abitanti di oggi, in che modo si
pongono davanti a questa storia?
Nel 2009 e nel 2011 sono stato là, nella zona di
Punta Arenas (Patagonia cilena, ndt) . Ho visitato anche la Patagonia
argentina. Secondo me esiste una grande differenza fra i due paesi. In
Argentina nessuno penserebbe mai di intitolare una strada a José Menéndez o a
Mauricio Braun. A Punta Arenas, invece, il centro della città canta le lodi di
questi pionieri. Ci sono ancora i loro palazzi. In realtà le loro famiglie non
abitano più a Punta Arenas da molto tempo: si sono trasferite a Buenos Aires o
a Santiago, dove possono gestire molto meglio le proprie attività. Mi ha
sorpreso che la città fosse piena di riferimenti alla storia ufficiale, perché
questo contrasta con l'opinione del cittadino comune, che sa bene quanto sia
stata falsificata la storia. Gli allevatori non si limitaronoa sterminare gli
indigeni e a rubare le loro terre, ma stravolsero anche l'equilibrio ecologico
della regione.
Edición chilena, Catalonia, del libro "Menéndez, rey de la Patagonia" |